mercoledì 24 agosto 2011

1961: Cento anni benedetti dal "miracolo"


Per indicare un momento in cui mi sono sentito particolarmente orgoglioso di essere italiano, al di là di un naturale amor di patria, devo riandare con la memoria molto indietro nel tempo, e precisamente al 1961. Allora era certo che nel nostro Paese stesse manifestandosi una felice "congiunzione degli astri" fra la rinata democrazia, lo sviluppo economico e la modernizzazione sociale.
È vero che una città come Torino si prestava a questo genere di convinzione, sia per le sue tradizioni politiche sia per i tangibili effetti del "miracolo economico" e di un'incipiente ventata di benessere. Tuttavia, da studioso di storia economica, avevo sotto gli occhi una serie di dati anche su altre località, da cui si deduceva che era in corso, sia pur senza le medesime cadenze che nel "triangolo industriale", un'evoluzione caratterizzata sostanzialmente dagli stessi fattori propulsivi.

L'Italia stava dunque compiendo notevoli progressi, dopo le disastrose conseguenze della guerra. E ciò stava a indicare come la società italiana avesse in fondo una robusta capacità collettiva di resistere alle avversità e un'altrettanta vigorosa capacità di rimettersi in gioco. D'altronde, era quanto avevo constatato di persona avendo vissuto, durante la mia adolescenza, gli anni bui della guerra, fra tanti lutti e sofferenze, e poi quelli dell'immediato dopoguerra, fra molte privazioni e apprensioni per il futuro.
In pratica, nel 1961, quello che appena quindici anni prima era un Paese prostrato e avvilito, appariva risorto a nuova vita, in corsa per ridurre il divario abissale d'un tempo dai Paesi più avanzati, e aveva riacquistato inoltre rispettabilità in sede internazionale, essendo tra i fondatori della Comunità europea.
Il fatto che il nostro Paese avesse abbracciato la causa europeista era un ulteriore motivo del mio ottimismo. Anche perché si sarebbero così cicatrizzate certe brucianti ferite provocate dalla guerra. Ricordavo infatti l'amarezza provata nel 1946, da ragazzo, durante una gita in Francia con alcuni miei coetanei, dinanzi all'atteggiamento sprezzante dei francesi che avevamo avvicinato, tutt'altro che disposti a dimenticare la vergognosa "pugnalata" inferta dall'Italia fascista al loro Paese già sconfitto e invaso dalla Germania nazista. 
Fortunatamente, ben diversa era stata poi l'atmosfera, in quanto segnata dalla condivisione degli stessi ideali sul futuro della nuova Europa comunitaria, che aveva caratterizzato il mio incontro, nel corso di un'iniziativa promossa nell'estate del 1958 dalla Stampa, con una rappresentanza di studenti universitari francesi, tedeschi, belgi e olandesi. In quell'occasione erano presenti anche degli inglesi, dato che tutti noi auspicavamo che la Gran Bretagna aderisse presto alla Cee.
Insomma, nel corso del 1961, tanti buoni motivi m'inducevano a nutrire un forte senso di orgoglio e fiducia nel mio Paese, pur nella consapevolezza dei numerosi problemi rimasti irrisolti. D'altra parte, nella ricorrenza del primo centenario dell'Unità nazionale, ero portato a riconoscere, senza per questo indulgere alla retorica, come fosse stata un'impresa storica straordinaria, considerate le difficoltà obiettive in cui era avvenuta, quella conclusasi con l'indipendenza e la costituzione di uno Stato unitario. Tanto più che, essendo fra i collaboratori della Mostra storica dedicata, nelle sale di Palazzo Carignano, alla rievocazione del Risorgimento, mi ero trovato a rivivere quegli eventi, per così dire in "presa diretta", attraverso la raccolta e la consultazione di alcuni significativi documenti dell'epoca.
In quelle stesse settimane avevo avuto modo di prendere visione, con un salto nel tempo di cent'anni, delle più recenti realizzazioni del nostro Paese messe in vetrina nell'Esposizione Internazionale di "Italia '61", inaugurata ai primi di maggio. Il giudizio lusinghiero che ne avevo riportato era dovuto anche al fatto che l'allestimento dei vari padiglioni fosse opera dei nomi più prestigiosi dell'architettura italiana. In particolare, notevole ammirazione riscuotevano il Palazzo del Lavoro, firmato da Pier Luigi Nervi, un gigantesco parallelepipedo con 16 ombrelli metallici e pilastri alti più di 20 metri, e un autentico gioiello come il Palazzo a Vela, in cemento armato ma dall'aspetto quasi etereo.
Un ultimo motivo, ma certo non secondario, che m'induceva a confidare nel futuro del nostro Paese, era il convincimento che si sarebbe rafforzato il senso di appartenenza e d'identità nazionale degli italiani, incontrandosi e conoscendosi non più nei campi di battaglia. A Torino e nella sua "cintura" stava infatti affluendo, in cerca di lavoro e di una sorte migliore, una massa d'immigrati. Nel 1961 erano approdate più di 60mila persone, provenienti in gran parte dal Sud; e nel biennio successivo questo fenomeno avrebbe assunto dimensioni ancora più imponenti.
Beninteso, non credevo che sarebbe subito avvenuta un'integrazione dei nuovi arrivati. Ma nell'ambiente culturale torinese, di orientamenti liberal-progressisti, che frequentavo, prevaleva l'opinione che istituzioni pubbliche, scuola e giornali avrebbero assecondato una civile convivenza fra piemontesi e meridionali. In realtà, a favorire gradualmente un clima di comprensione e solidarietà fra due differenti universi fu soprattutto l'esperienza comune di lavoro maturata in fabbrica, nell'ambito di un'organizzazione fordista della produzione che, non solo alla Fiat, stava livellando anche le mansioni dell'"aristocrazia operaia" torinese d'un tempo. Il resto, lo fecero le parrocchie nella vita collettiva dei quartieri.
In sostanza, il motivo preminente della mia fierezza di allora, quale cittadino italiano, e della mia profonda fiducia nell'avvenire, analoga d'altronde a quella di molti miei coetanei, consisteva per lo più nell'importanza cruciale che attribuivamo alla nuova vocazione industrialista del nostro Paese e alle sue proiezioni modernizzatrici. Ritenevamo che il mondo dell'impresa e del lavoro, purché convogliato su traiettorie più dinamiche, e con un valido modello di relazioni industriali (come quello olivettiano), avrebbe svolto una funzione demiurgica: avrebbe potuto trasformare non solo l'economia ma la società italiana eliminando man mano il dualismo fra Nord e Sud, e creando nuove risorse per il progresso civile e la copertura di esigenze di carattere collettivo. E credevano che in tal modo si sarebbero anche rafforzate le fondamenta del sistema democratico e ampliati i diritti di cittadinanza sociale.
D'altronde, si era alla vigilia della svolta verso il centro-sinistra, avallata - così si pensava - dalla nuova America di Kennedy. E molte aspettative suscitava l'idea di una programmazione che coniugasse keynesismo e Welfare con una "politica dei redditi". Più tardi, si dirà che si trattava di un "libro dei sogni".
Eppure, a ripensarci adesso, il fatto che allora credessimo, in tanti della mia generazione, nella validità di una strategia riformista "lib-lab", quale strada maestra per il futuro del nostro Paese, non era un peccato di gioventù. Poiché essa si ripropone, sia pur con le debite varianti, ai giorni nostri.
I SENTIMENTI

L'ORGOGLIO
1. L'esistenza di un grande patrimonio artistico e culturale2. Il capitale di creatività e di saperi pratici delle Pmi3. Il forte legame con l'Europa comunitaria4. L'opera dei nostri militari all'estero nelle missioni di pace e per la sicurezza internazionale
5. Lo sviluppo negli ultimi anni del volontariato e dei sodalizi di assistenza sociale
VERGOGNA 1. La morsa persistente della criminalità organizzata2. Le larghe sacche di evasione fiscale3. Le inefficienze e disfunzioni dell'amministrazione pubblica4. L'eccessiva e paralizzante litigiosità della classe politica
5. Lo scarso senso civico e la deturpazione dell'ambiente
CORREVA L'ANNO
1961
17 marzoCentenario dell'Unità d'Italia 
Le celebrazioni si svolgono in numerose città italiane, grandi e piccole: il fulcro delle manifestazioni è però Torino, città simbolo del «miracolo italiano», sede della proclamazione del Regno d'Italia nel 1861 e prima capitale, con tre rassegne: la «Mostra storica dell'Unità d'Italia», la «Mostra delle regioni italiane» e la «Mostra internazionale del lavoro»
12 aprileYuri Gagarin primo uomo nello spazio 
Ore 9,07: all'interno della navicella Vostok 1, del peso di 4,7 tonnellate, il maggiore Jurij Gagarin, 27 anni da poco compiuti, inizia il primo volo spaziale della storia con equipaggio umano. Compie un'intera orbita ellittica attorno alla Terra, raggiungendo un'altitudine massima di 302 km e una minima di 175 km, viaggiando alla velocità di 27.400 km/h
15 maggioEsce l'enciclica «Mater et magistra» 
Papa Giovanni XXIII riprende e amplia il tradizionale insegnamento della Chiesa in ordine ai problemi sociali: di particolare interesse è la riaffermazione del valore della persona e della libertà economica, ma insieme della completa liceità della tendenza alla socializzazione, purché venga attuata nel rispetto dei diritti della persona
11/12 giugno«Notte dei fuochi» in Alto Adige 
Un'impressionante serie di attentati scuote l'Alto Adige nella notte: un gruppo di terroristi altoatesini di lingua tedesca, aderenti al «Befreiungsausschuss Südtirol», fa scoppiare la prima bomba nel centro di Bolzano; seguono nelle due ore successive altre 46 esplosioni, che abbattono decine di tralicci dell'alta tensione
13 agostoInizia la costruzione del Muro di Berlino 
Eretto dal Governo comunista della Germania Est, che lo chiamò «Barriera di protezione antifascista», il Muro divise in due la città di Berlino per 28 anni, fino al suo crollo avvenuto il 9 novembre 1989. Durante questi anni furono uccise dalle guardie comuniste almeno 133 persone mentre cercavano di fuggire verso Berlino Ovest
Valerio Castronovo

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