Difficile convivere con chi ci considera nemici da
colonizzare. Carenze culturali e politiche sono retoriche supplenze di
identità ambigue
Il miserevole spettacolo che l’Italia politica e
giornalistica sta dando sulla strage di Parigi e il suo seguito è figlio allo
stesso tempo — salvo minoritarie e lodevoli eccezioni — di carenza culturale e
di stupidità politica. Entrambe sono la retorica supplenza della nostra
identità ambigua e compromissoria. Perciò, in nome della convivenza con
l’Islam, auspichiamo di fondare un nuovo Illuminismo, non sapendo palesemente
che ce n’è già stato uno sul quale abbiamo fondato la nostra civilisation,
mentre sono loro che non lo hanno ancora fatto e che dovrebbero farlo.Ci si è
lamentati che le forze dell’ordine francesi non fossero riuscite a catturare
rapidamente i due lombrosiani criminali artefici della strage parigina.
Ignoriamo, o fingiamo di ignorare, che ciò era dovuto al fatto che il
cosiddetto estremismo islamico naviga nel mare delle collusioni e delle complicità
con l’islamismo che chiamiamo ostinatamente moderato. Che moderato non è e che
si è profondamente radicato nel continente con l’immigrazione.
È stupefacente che a non capirlo sia proprio quella stessa
sinistra che, da noi, aveva felicemente contribuito a isolare il terrorismo
delle Brigate rosse prendendo realisticamente atto che esso navigava nel mare
delle complicità antiliberali e anticapitalistiche generate dal «lessico
familiare» comunista. L’ignoranza che, da noi, circonda il caso francese rivela
l’incapacità culturale, non solo della sinistra, di capire che cosa è stata, in
Occidente, l’uscita dal Medioevo, la separazione della politica dalla
religione, la cancellazione del dominio della fede religiosa sulla politica e
la nascita dello Stato moderno; incapacità di capire che si accompagna a quella
di prendere atto, per converso, che l’Islamismo è ancora immerso nel Medioevo
ed è soprattutto incapace di uscirne.Le patetiche invocazioni al dialogo, alla
reciproca comprensione che si elevano da ogni chiacchierata televisiva, da ogni
articolo di giornale, sono figlie di un buonismo retorico, politicamente
corretto, incapace di guardare alla «realtà effettuale» con onestà
intellettuale.
Non stiamo dando prova neppure approssimativa di essere gli
eredi di Machiavelli, bensì, all’opposto, riveliamo di essere i velleitari
nipotini di Brancaleone da Norcia, lo strampalato protagonista di una saga
cinematografica. Il miserevole spettacolo che diamo è anche la conseguenza
dell’insipienza culturale di una sinistra che — perduto il rapporto organico
con l’Unione sovietica, spazzata via dalle «dure repliche della storia» — non
sa, o non vuole, darsi una identità. La nostra insipienza politica è generata
dall’incultura. Non abbiamo perso l’occasione, anche questa volta, di mostrare
d’essere un Paese da Terzo Mondo al quale, come non bastasse, un Papa
pauperista detta la linea fra l’ottuso entusiasmo di fedeli che mostrano di
credere ben poco nel messaggio di Cristo e molto più di essere i sudditi di una
gerarchia che assomiglia a una corporazione o a un partito. Avevo definito
l’Islam, in un precedente articolo, una teocrazia, aggiungendo che qualsiasi
tentativo, da parte nostra, di trovare con esso una qualche forma di
conciliazione si sarebbe rivelato, a causa della contraddizione logica e
storica, illusorio.
Che piaccia o no al buonismo, siamo diversi. È inutile
nascondersi dietro il dito di un universalismo di facciata che non regge alla
prova della logica e della storia. Siamo anche migliori, avendo noi conosciuto,
e praticato da alcuni secoli — a differenza di loro che sono, e vogliono
restare, una teocrazia — la separazione della religione dalla politica. Pur con
tutti i nostri limiti, pratichiamo l’insegnamento dell’Illuminismo e siamo
entrati da tempo nella Modernità, mentre loro ne sono ancora fuori e non danno
neppure segno di volerci entrare. Viviamo in regimi che praticano la tolleranza
nei confronti di chi non la pensa allo stesso nostro modo o professa una
religione diversa dalla nostra; siamo società che, per dirla con Isaiah Berlin,
professano e rispettano la «pluralità di valori». Chi non la pensa come noi,
non è considerato e trattato come un nemico. Loro ci considerano «infedeli»
rispetto alle loro convinzioni e alla loro prassi; un nemico da sterminare come
hanno fatto nei confronti della redazione del settimanale satirico parigino il
cui torto era di aver fatto dell’ironia sul loro credo. Per noi, gli islamici
sono gente che la pensa in un modo diverso.
Da figlio del Cristianesimo e del liberalismo mi chiedo come
si possano uccidere uomini e donne in nome del proprio dio. Il criminale che
torna sui suoi passi per finire un agente ferito e a terra è una bestia, con
tutto il rispetto per gli animali. Le nostre reciproche culture sono
inconciliabili ed è persino ridicolo auspicare che ci si possa incontrare
almeno a metà strada. Dovremo convivere, sapendo che ci vorrebbero colonizzare
e dominare attraverso quel «cavallo di Troia» che è l’immigrazione e che noi
stessi incoraggiamo. Lo ripeto. Non siamo noi che dobbiamo riscoprire le nostre
radici. Sono loro che devono rinunciare alle loro. Sempre che vogliano
convivere pacificamente. Cosa di cui dubito.
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