giovedì 9 ottobre 2008

Quei regali ai signori delle autostrade

La privatizzazione delle autostrade italiane è stata una sequela di regali ad un gruppo di imprenditori privati che, investendo cifre minime, hanno costruito imperi da miliardi di euro. Rischi prossimi allo zero per loro e vantaggi nulli per gli utenti. Lo denuncia Giorgio Ragazzi nel libro "I signori delle Autostrade" edito in questi giorni dal Mulino e di cui ampi estratti saranno disponibili sul sito lavoce.info. Ragazzi, professore di Economia Politica all' Univesità di Bergamo, con esperienze alla Banca Mondiale e all' Fmi, premette: «Non esiste nessun settore dove un governo, o addirittura un solo un ministro possa fare "regali" così imponenti, senza che gli utenti ne percepiscano nemmeno i costi addizionali». Una pratica che viene da lontano: gran parte del network attuale è stato costruito tra gli anni '60 e ' 70, se i pedaggi servissero al concessionario per ammortizzare nel tempo il capitale investito, le tariffe su larghi tratti dovrebbero essere molto più basse delle attuali o addirittura pari a zero. Invece, sin dal '76, quando la proprietà era totalmente pubblica, alla concessionarie è stato permesso a più riprese di attualizzare il valore delle infrastrutture. L' aumento del patrimonio conseguito veniva riconosciuto dall' Anas come se fosse nuovo capitale immesso dai soci. Ai proprietari privati è stata riconosciuta la stessa prerogativa: la concessionaria deliberava che l' autostrada posseduta valeva di più (pur in mancanza di modifiche) e lo Stato riconosceva tariffe proporzionali al nuovo valore. Ecco il segreto di rendimenti esplosivi: «Per citare solo i casi più rilevanti, in sei anni la Schemaventotto dei Benetton ha moltiplicato per sei/sette volte il valore del suo investimento - rincara Ragazzi - l' imprenditore Gavio entrato nel settore meno di dieci anni addietro con un piccolissimo investimento e controlla oggi un impero che vale 4 miliardi». Non solo: per rendere più attraente le privatizzazioni il governo ha concesso una serie di proroghe alla durata delle concessioni in cambio di impegni a nuovi investimenti. Il risultato è che le tariffe sono salite regolarmente, mentre i nuovi tratti non sono stati realizzati se non in minima parte. Anche senza considerare le nuove opere promesse, gli extraprofitti sono stati garantiti da adeguamenti tariffari molto generosi (grazie a parametri arbitrari come premi-qualità, previsioni di crescita traffico irrealistiche). L' ultimo intervento del governo Berlusconi, che riconosce il recupero del 70% dell' inflazione ogni anno, rende ancora più certo e progressivo l' aumento delle entrate. L' ex ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro ha tentato ad opporsi alla «cuccagna», come la definì lui stesso, con una riforma radicale: «Di Pietro ha fallito - dice Ragazzi a Repubblica - perché ha tentato di azzerare la normativa esistente e l' Europa non lo poteva permettere». È possibile una soluzione diversa? Il libro ne indica due. Si potrebbe istituire una nuova autorità indipendente che definisca una tariffa unica nazionale per tutta la rete, ma alle concessionarie ne rimarrebbe solo una parte, cioè la quota sufficiente a remunerare il capitale effettivamente investito nelle opere esistenti. Gli incassi extra andrebbero in un fondo statale per finanziare nuove opere. «Si potrebbe fare già a legislazione vigente», spiega il professore. Improbabile che una tale soluzione venga presa in considerazione visto l' ottimo rapporto dei concessionari con l' attuale maggioranza, come testimonia l' ingresso in Cai di Atlantia e Gavio. L' altra riforma necessita che scadano le convenzioni (quella più importante con Atlantia/Autostrade scade solo nel 2038). A quel punto le tre funzioni connesse alla concessione come costruzione, manutenzione e raccolta dei pedaggi potrebbero essere assegnate ai privati separatamente. Un unbundling che può ridurre i costi per gli utenti e i vantaggi per i privati.
Luca Iezzi - Repubblica

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