domenica 25 gennaio 2009

La tradizione dell'arzdora e il pollo romagnolo


“…..quand che l’arzdora la va ala campagna, la perd piò che la’n guadagna….” (quando la massaia va a lavorare nei campi è un danno per la casa…). Questa frase dialettale descrive perfettamente il ruolo che la reggitrice delle cose di casa aveva nel governo del focolare nella civiltà contadina di un passato tutto sommato non ancora troppo lontano. Ho già descritto, tempo addietro, come l’Arzdora romagnola era il simbolo positivo di un’operosità instancabile e il cardine del tradizionale nucleo famigliare. Era anche, tra le altre cose, la responsabile della gestione del pollaio che in ordine d’importanza dalla gestione familiare era secondo solo alla stalla. Accudiva alla chioccia e i pulcini, per poi portare al mercato quei capi o quel certo numero di uova che eccedevano il consumo familiare, ricavando qualcosa per le piccole spese domestiche. Provvedeva altresì alla castratura dei galletti per produrre i “capponi” che prima di Natale erano rinchiusi in una stia e alimentati con un pastone più ricco per fornire una carne più grassa e saporita da consumarsi per le feste. Sembra che l’origine del cappone risalga al II secolo a.c., quando la Legge Faunia proibiva il consumo di galline ingrassate allo scopo di economizzare le granaglie; gli allevatori romani, allora, osservando che gli eunuchi al servizio degli imperatori erano tutti grassi, pensarono di castrare i galletti raddoppiando in tal modo le loro dimensioni… Il pollaio, in campagna, era generalmente ricavato da una piccola costruzione adiacente alla casa colonica, fatta di canne o di mattoni e un paio di volte l’anno era disinfettato con latte di calce. Comunque il pollo era in grado di volare e spesso preferiva dormire all’aperto, sui rami degli alberi, anche sotto la neve. Chiunque si fosse recato fino agli anni sessanta in un podere romagnolo, avrebbe notato come costante la presenza nell’aia di un buon numero di polli che razzolavano indisturbati e che nervosamente beccavano in continuazione il terreno muovendosi a scatti. Questo era – ed è grazie ad una nuova attenzione degli allevatori - il “pollo romagnolo” di cui tanti poeti locali, da Giovanni Pascoli a Tonino Guerra, hanno cantato le lodi. Il tipo di alimentazione e il perenne movimento producevano evidentemente una carne di primissima qualità, soda e saporita, adatta a qualsiasi preparazione, ma che si sublimava cotta “alla cacciatora” nel tegame di cotto, con pomodori e patate. A questo piatto in particolare erano destinati i polli più giovani mentre la fine naturale per i più vecchi era nella pentola per essere lessati e fornire il brodo. Nel nostro territorio segnalo il ristorante Canè a Dozza, che ha mantenuto una buona tradizione di questo piatto. I galletti giovani, sino a qualche decennio fa, erano anche oggetto di regalia da parte dei mezzadri in occasione della festa di S.Pietro (30 giugno) e proprio la preparazione “alla cacciatora” coronava la festa di fine raccolto o quella della trebbiatura. Con le loro rigaglie si otteneva poi un ottimo ragù per le tagliatelle. Le carni di pollo tradizionalmente si dovrebbero accompagnare, in Romagna, al vino bianco Trebbiano e non al rosso Sangiovese come si potrebbe pensare. Spesso il pollo veniva anche lessato e riempito con un impasto di pane e formaggio grattugiati, uova e mortadella o carne di maiale, producendo lo squisito e saporito “ripieno” che poi veniva servito a parte tagliato a fette. Personalmente ne vado matto. Ogni gallina poteva deporre fino a 150 uova all’anno con il guscio di un colore particolarmente bianco - come ricorderanno le persone più anziane - e avendo maggiore quantità di tuorlo rispetto all’albume, erano l’ideale per fare una sfoglia bella soda per ogni tipo di pasta. Il “pollo romagnolo”, trattandosi di animale a lento accrescimento, si presta con la sua carne soprattutto per preparazioni di media-lunga cottura, quali la gallina e il cappone lessati e i pollastri in umido. Oltre alla citata “cacciatora”, il nostro pollo può essere servito “stufato” (con la triade classica di cipolla, sedano e carota) o lesso, dopo che nel brodo si sono fatte cuocere paste ripiene. Una variante ormai desueta sono le cotolette di pollo. Lo scrittore romagnolo Graziano Pozzetto comunque, nelle sue 600 pagine di “Cucina di Romagna”, riporta oltre dieci ricette di polli, galline e galletti in tutte le “salse”.
Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Il Domani di domenica 25 gennaio 2009

Nessun commento: