mercoledì 11 novembre 2009

Quel pasticciaccio brutto di «internet superveloce»

Dal piano 2000 agli sprechi Infratel: 10 anni di promesse.

Il progetto di superconnessione per tutti gli italiani non decolla. La Finlandia in pochi anni arriverà ai 100 Mega

ROMA — Comprensibilmente irrita­to, l’attore Luca Barbareschi, oggi de­putato Pdl e vicepresidente della com­missione Comunicazioni non sa farse­ne una ragione: «Tutta questa storia è un mistero». Si riferisce alla decisione presa dal governo di congelare i finan­ziamenti (800 milioni di euro) per la banda larga «fino a crisi finita». A crisi finita? E chi decide quando finisce? Il pasticciaccio brutto della banda larga comincia una decina d’anni fa. Apprestandosi a vincere le elezioni del 2001, Silvio Berlusconi ha un piano. Di­gitalizzare l’Italia in un battibaleno, su­perando il divario che il Paese ha già accumulato con i concorrenti. Un an­no prima delle elezioni il futuro super­ministro Giulio Tremonti ha già le idee molto chiare.

Il 9 marzo 2000 dice a Dario Di Vico del Corriere : «Internet è quanto di più anti-giacobino possa esistere ed è ovvio che avvantaggi noi. La struttura delle vecchia società sta al­la nuova come un vecchio calcolatore sta a Internet. Quello era verticale, rigi­do, piramidale. La rete è orizzontale, flessibile, anarchica, federale». E obso­leta. Per questo il governo è intenzio­nato a lanciare un formidabile piano di modernizzazione. Nomina perfino un ministro. Non uno qualunque: nientemeno che l’ex manager europeo dell’Ibm, Lucio Stanca. Ma passa un an­no e mezzo, siamo nel dicembre del 2002, e del formidabile piano per digi­talizzare l’Italia nemmeno l’ombra. E Stanca consegna la sua delusione alla stampa. «Contavo di avere più soldi, ma in questa situazione è andata fin troppo bene. L’innovazione non ha lobby, girotondi, gruppi di pressio­ne... », si sfoga sempre con il Corriere.

La verità è che non ha una lira. Mentre vede i soldi che gli erano stati promes­si andare a ingrassare i bilanci dei par­titi politici, o qualche clientela, potreb­be forse rovesciare il tavolo e andarse­ne. Invece resta lì, a galleggiare. Lan­ciando di tanto in tanto qualche pol­petta alle masse. Come il primo agosto 2005: «La banda larga è un’assoluta priorità nell’agenda di governo, che ha varato una vera e propria riforma digitale per ampliare gli strumenti me­diante i quali possono esercitare una piena cittadinanza». Diventerà poi se­natore, quindi deputato, infine ammi­nistratore delegato dell’Expo 2015. Nel frattempo viene costituita pure una società, Infratel Italia, incaricata di cablare con la banda larga il Sud, col­mando così il cosiddetto digital divi­de . La mettono dentro Sviluppo Italia: poltrone, assunzioni, consulenze. Ine­vitabilmente. Nel 2007 la Corte dei con­ti gli riserva questo trattamento: «Alla data del 31 dicembre 2006 sono stati realizzati 510 chilometri di infrastrut­ture, pari al 29% delle opere previste nel piano. Va evidenziato che i chilo­metri realizzati sono risultati inferiori a quelli programmati mentre i costi di realizzazione risultano superiori». A quella data erano abilitate alla banda larga il 23% delle aree comunali previ­ste e delle 182 centrali telefoniche pro­grammate per la fibra ottica ne erano coperte appena 36.

Un «risultato poco soddisfacente», secondo la Corte dei conti, che rilevava pure come «la re­munerazione del personale manageria­le Infratel» era apparsa «particolar­mente elevata tanto da arrivare a 1.200 euro al giorno» mentre per gli «incari­chi di consulenza» (1.283.799 euro e un centesimo) si sottolineava che era­no stati «effettuati intuitu personae, in violazione dei principi di pubblici­tà, concorrenza e trasparenza». In seguito le cose sarebbero andate un po’ meglio. Ma pur sempre nella precarietà finanziaria. Sapete quanti soldi aveva destinato a superare il co­siddetto divario digitale un Paese che è agli ultimi posti in Europa per la dif­fusione di Internet? 351 milioni. Che sono poi diventati 301, perché, beffa nelle beffe, 50 sono stati prelevati per la copertura dell’abolizione dell’Ici, promessa in campagna elettorale dal­l’attuale premier Silvio Berlusconi. Non che le cose andassero molto me­glio durante il governo di Romano Pro­di, al punto che il presidente dell’Auto­rità per le comunicazioni, Corrado Ca­labrò, il 24 luglio 2007, avvertiva: «Sia­mo al capolinea. La situazione del mer­cato italiano della larga banda non ap­pare soddisfacente. La copertura, la dif­fusione, il livello concorrenziale delle offerte segnano il passo rispetto ai Pae­si più virtuosi d’Europa. La diffusione è al 14,5%, il che ci piazza all’ultimo po­sto dei Paesi del G7 e anche dei 27 membri dell’Unione europea».

Nel 2007 il tasso di crescita della banda larga in Italia era del 3%, il livel­lo più basso d’Europa con l’eccezione del Lussemburgo. Poi è arrivato il nuo­vo governo e il viceministro alle Comu­nicazioni Paolo Romani, assessore del Comune di Monza, ha preparato un piano da 800 milioni in cinque anni. Entusiasta, ha dichiarato non più tardi del 25 settembre 2009: «Il governo ri­tiene di poter digitalizzare il Paese en­tro il 2012 e di farlo anche prima di al­tre nazioni». Quando però gli 800 mi­lioni sono stati messi sul binario mor­to (servono forse per altre cose, come tappare il buco degli stipendi per i fo­restali calabresi?) non ha fatto una pie­ga: «Il blocco dei fondi da parte del Ci­pe è un falso problema. Il piano è parti­to e va avanti». Campa cavallo. La Fin­landia annuncia che fra qualche anno garantirà a tutti i cittadini la connes­sione a 100 mega e noi siamo sempre alle prese con le stesse sardine. Con tutto il rispetto per le sardine.

Sergio Rizzo - 9 novembre 2009

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