venerdì 24 gennaio 2014

Nuove dittature: il simbolicamente corretto

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Puoi fare ben poco stando al governo oppure operando dall’opposizione? Male, ma puoi sempre scegliere una strada sostitutiva: «Mandare un segnale». È l’apoteosi del gesto carico di significati, è il predominio del simbolico sul concreto. Che cosa può fare Obama per contrastare lo strapotere di Putin, che comprime e mortifica i diritti umani e civili in Russia? Niente, non può fare praticamente niente. Però può sempre mandare un segnale e nominare come portabandiera degli Stati Uniti alla prossima Olimpiade invernale russa di Sochi due icone della battaglia gay. A Mosca gli omosessuali continueranno ad essere discriminati, ma il mondo avrà certamente ricevuto un segnale simbolico molto forte.

È la dittatura del simbolico. Che compensa il collasso della realtà, semplicemente surrogandola. La tragedia dell’impotenza politica che, in un mondo sempre più interconnesso e regolato da leggi non scritte, cerca di riscattarsi trasfigurandosi in pura gestualità, in atto spettacolare. I politici dei governi e delle opposizioni, delle maggioranze e delle minoranze, di destra e di sinistra, hanno del resto ricevuto da una figura carismatica come papa Francesco un formidabile repertorio di simbolismo gestuale: il semplice e colloquiale «buona sera» dal balcone di piazza San Pietro, il bagaglio a mano sull’aereo, le scarpe sformate, il piccolo alloggio a Santa Marta anziché gli sfarzosi appartamenti papali, la bibita sorseggiata in Brasile, eccetera. Ma il Vaticano, per quanto titolare di una potentissima valenza politica, non ha in mano concretamente le redini di un governo democratico. Gli eletti invece hanno ricevuto un mandato dai loro elettori, ma, non sapendo destreggiarsi in una sfera politica sempre più complessa e paralizzata da procedure farraginose, si rifugiano nella retorica del gesto squillante.

A Roma il sindaco sembra totalmente privo di qualunque efficacia, mentre l’immondizia deborda e rischia di sommergere la città. In compenso il sindaco Marino manda un segnale: pedonalizza (o quasi, perché i pullman turistici e le macchine a noleggio invadono la strada) qualche centinaio di metri dei Fori Imperiali. I trasporti pubblici a Roma versano in una condizione catastrofica e desolante per un Paese civile. In compenso arriva un segnale simbolico: il sindaco si muove in bicicletta.

Basta fare attenzione alle ripetute risse sulla toponomastica, che impegnano con un fervore davvero inusitato le amministrazioni locali. Si manda un segnale intestando una via a qualche illustre esponente della parte politica vincente, oppure si monta un caso se viene intestata una piazza a un illustre esponente della parte politica opposta. E le condizioni delle strade, dei trasporti, degli asili nido, delle scuole, della viabilità, della pulizia, degli appalti, della manutenzione, insomma che ne è della politica concreta che opera scelte, impone soluzioni, dà una risposta alla cittadinanza? Tutto in secondo piano. Bisogna sottomettersi alla dittatura del simbolico. Bisogna pur mandare un segnale.

Beninteso, da sempre il potere predilige l’ostentazione dei simboli, il legare un nome a un gesto, un appuntamento, una data da celebrare, una retorica da rispettare. Il simbolico è strettamente connesso al politico, deve mandare segnali, offrire un orientamento, riempire di senso e di significati la vita dei popoli, vivificando il loro spirito di appartenenza e di devozione. Da sempre gli statisti e i condottieri hanno voluto intestarsi il prestigio di una grande opera come simbolo di grandezza e di gloria: strade, ponti, acquedotti, biblioteche, stadi o la piramide che Mitterrand ha voluto al Louvre per celebrare una nuova grandeur. I simboli della regalità, della maestà. Oppure i simboli del rinnovamento. Ma i simboli hanno un valore se accompagnano misure politiche, provvedimenti concreti, non se sostituiscono la decisione (impossibile) con la rappresentazione. E invece è proprio come se nel villaggio mediatico ci fosse fame insaziabile di simboli come vetrina della nuova politica.

In contrapposizione ai fasti delle «cene eleganti» berlusconiane, Mario Monti volle mandare un segnale presentandosi con un sobrio loden alla stazione per prendere il treno che da Milano lo avrebbe portato a Palazzo Chigi (e anche Enrico Letta si è presentato alla convocazione del Quirinale con la sua automobile privata: doveva mandare un segnale di normalità). Per mostrarsi un benevolo padrone del mondo, severo ma capace di gesti caritatevoli, Putin ha mandato un segnale di moderazione liberando l’oligarca dissidente Khodorkovskij proprio alla vigilia dei Giochi olimpici (e anche pochi giorni prima, ma questo non lo poteva sapere, della recrudescenza terroristica a Volgograd). Per mandare un segnale, i maggiorenti del Partito comunista cinese hanno formalmente aperto al libero mercato, quando tutti sanno già che in Cina il capital-comunismo non è esattamente l’applicazione di un programma economico marxista-leninista puro. Per dimostrare sensibilità al «diverso» il sindaco democratico di New York Bill de Blasio si è presentato con la sua multicolore e multiforme famiglia come simbolo di multiculturalità. E poi, grazie a una colossale nevicata che ha coperto la grande metropoli, si è offerto ai fotografi di tutto il mondo spazzando con una pala i cumuli bianchi e gelidi. Fanno oramai così i sindaci sotto la neve, anche Gianni Alemanno si fece immortalare con una pala per mandare un segnale di fattività: anche se la città era completamente paralizzata, il simbolo rischiava di funzionare come compensazione dei disagi patiti dalla cittadinanza.

In Italia la «casta» politica per mandare un segnale gira a piedi, compra il biglietto delle partite, fa la fila al cinema, si slaccia il colletto della camicia rigorosamente senza cravatta per mostrarsi alla mano e alla portata dei cittadini normali. Peccato che la stessa casta non riesca a rinunciare concretamente nemmeno a una manciata di quattrini del finanziamento pubblico. Fanno una legge sull’omofobia che concretamente non raggiunge nessun risultato (fortunatamente in Italia l’aggressione e il pestaggio sono già reati perseguibili per legge), ma manda il segnale che gli omosessuali potrebbero finalmente sentirsi protetti. Purtroppo, grazie ai veti contrapposti e a un eccesso di subalternità della politica ai (presunti) desiderata del Vaticano, le coppie gay non possono contrarre matrimonio e almeno godere dei diritti che spetterebbero loro attraverso una ragionevole disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. In compenso, per mandare il solito segnale, si escogitano cervellotiche formule burocratiche su un asessuato genitore, pur di non nominare il padre e la madre. Per la stessa ragione, in mancanza di diritti concreti e di un riconoscimento legale che oramai è acquisizione irreversibile di tutte le nazioni liberaldemocratiche, si scatena la guerra santa del boicottaggio contro Guido Barilla, reo di aver rilasciato dichiarazioni non proprio brillanti circa il tipo di marketing sulla famiglia tradizionale attuata dalla sua stranota azienda di pasta e biscotti.

Nel Mezzogiorno, si spreca la retorica sulle risorse del meraviglioso Meridione e per mandare un segnale si creano a getto continuo fantasmagorici «partiti del Sud». In compenso, nella realtà e non nell’atmosfera colorata e gratificante dei simboli, nel Mezzogiorno i treni non funzionano, le strade crollano, le autostrade non si finiscono mai. I sindaci si adeguano. La Napoli di Bassolino non è stata un gioiello di favolosa amministrazione (anche se una sentenza ha scagionato l’ex sindaco da tutte le accuse con cui la magistratura lo aveva bersagliato), ma tutti ricordano la grande bolla (e la grande balla) del «Rinascimento napoletano» perché Bassolino aveva ripulito piazza del Plebiscito, facendone un vanto per tutta l’Italia: sul piano simbolico, almeno.

Il governatore della Sicilia Crocetta ha portato, per mandare un segnale di discontinuità, una ventata di novità e di informalità: nella realtà tutti i portaborse dei politici sono stati assunti stabilmente dalla pubblica amministrazione, altro che discontinuità. Il sindaco di Genova Doria si è presentato come «uno di noi»: simbolicamente il segnale è arrivato forte e chiaro, in compenso nella realtà il trasporto locale si è bloccato e le corporazioni (vincenti) hanno messo in ginocchio la città. Per mandare un segnale il neoleader della Lega Salvini si presenta in tuta, per dare un’immagine di disponibilità informale e di predisposizione alla battaglia. Ma nella realtà, oltre al segnale da spedire all’opinione pubblica, cosa c’è di rilevante e di importante che la Lega può fare? Per mandare un segnale, la Lega aveva già imposto la devolution, con gli splendidi risultati che conosciamo.

Per dare un segnale di ritrovato patriottismo e di coesione nazionale attorno alla bandiera e ai suoi simboli, abbiamo reintrodotto in Italia l’esibizione militare ai Fori Imperiali per il 2 giugno: ma ogni anno c’è una contestazione. Per dare un segnale di compunta e inflessibile severità, si sono predisposte sanzioni draconiane contro le curve che durante le partite si abbandonano a biechi cori razzisti o, come si dice con espressione della neolingua burocratica, a manifestazioni di «discriminazione territoriale». Questo nella sfera simbolica, perché nella sfera pratica l’impossibilità di dar seguito a quelle sanzioni ha vieppiù rafforzato l’inclinazione barbarica delle tifoserie scatenate al dileggio razziale o al linciaggio «territoriale».

La dittatura del simbolico si impone nelle piccole realtà e sulla grande scena mondiale. In Siria Assad continua a massacrare il popolo siriano, ma l’Onu manda un segnale contro l’uso di armi chimiche. Un richiamo puramente simbolico che non risolve niente nella realtà, ma appaga il desiderio di un gesto, bello o brutto che sia, purché sia un gesto dal forte impatto sul piano della comunicazione. Oppure si prendono i funerali di Mandela in Sudafrica per dare l’occasione ai leader del mondo di scambiarsi gesti, strette di mano, o persino giochi un po’ infantili con i telefoni cellulari. Solo un segnale, come omaggio non a un vero grande simbolo come Mandela, ma ai tanti simboli che hanno sostituito la realtà sul palcoscenico mediatico.

Puoi fare ben poco stando al governo oppure operando dall’opposizione? Male, ma puoi sempre scegliere una strada sostitutiva: «Mandare un segnale». È l’apoteosi del gesto carico di significati, è il predominio del simbolico sul concreto. Che cosa può fare Obama per contrastare lo strapotere di Putin, che comprime e mortifica i diritti umani e civili in Russia? Niente, non può fare praticamente niente. Però può sempre mandare un segnale e nominare come portabandiera degli Stati Uniti alla prossima Olimpiade invernale russa di Sochi due icone della battaglia gay. A Mosca gli omosessuali continueranno ad essere discriminati, ma il mondo avrà certamente ricevuto un segnale simbolico molto forte.

È la dittatura del simbolico. Che compensa il collasso della realtà, semplicemente surrogandola. La tragedia dell’impotenza politica che, in un mondo sempre più interconnesso e regolato da leggi non scritte, cerca di riscattarsi trasfigurandosi in pura gestualità, in atto spettacolare. I politici dei governi e delle opposizioni, delle maggioranze e delle minoranze, di destra e di sinistra, hanno del resto ricevuto da una figura carismatica come papa Francesco un formidabile repertorio di simbolismo gestuale: il semplice e colloquiale «buona sera» dal balcone di piazza San Pietro, il bagaglio a mano sull’aereo, le scarpe sformate, il piccolo alloggio a Santa Marta anziché gli sfarzosi appartamenti papali, la bibita sorseggiata in Brasile, eccetera. Ma il Vaticano, per quanto titolare di una potentissima valenza politica, non ha in mano concretamente le redini di un governo democratico. Gli eletti invece hanno ricevuto un mandato dai loro elettori, ma, non sapendo destreggiarsi in una sfera politica sempre più complessa e paralizzata da procedure farraginose, si rifugiano nella retorica del gesto squillante.

A Roma il sindaco sembra totalmente privo di qualunque efficacia, mentre l’immondizia deborda e rischia di sommergere la città. In compenso il sindaco Marino manda un segnale: pedonalizza (o quasi, perché i pullman turistici e le macchine a noleggio invadono la strada) qualche centinaio di metri dei Fori Imperiali. I trasporti pubblici a Roma versano in una condizione catastrofica e desolante per un Paese civile. In compenso arriva un segnale simbolico: il sindaco si muove in bicicletta.

Basta fare attenzione alle ripetute risse sulla toponomastica, che impegnano con un fervore davvero inusitato le amministrazioni locali. Si manda un segnale intestando una via a qualche illustre esponente della parte politica vincente, oppure si monta un caso se viene intestata una piazza a un illustre esponente della parte politica opposta. E le condizioni delle strade, dei trasporti, degli asili nido, delle scuole, della viabilità, della pulizia, degli appalti, della manutenzione, insomma che ne è della politica concreta che opera scelte, impone soluzioni, dà una risposta alla cittadinanza? Tutto in secondo piano. Bisogna sottomettersi alla dittatura del simbolico. Bisogna pur mandare un segnale.

Beninteso, da sempre il potere predilige l’ostentazione dei simboli, il legare un nome a un gesto, un appuntamento, una data da celebrare, una retorica da rispettare. Il simbolico è strettamente connesso al politico, deve mandare segnali, offrire un orientamento, riempire di senso e di significati la vita dei popoli, vivificando il loro spirito di appartenenza e di devozione. Da sempre gli statisti e i condottieri hanno voluto intestarsi il prestigio di una grande opera come simbolo di grandezza e di gloria: strade, ponti, acquedotti, biblioteche, stadi o la piramide che Mitterrand ha voluto al Louvre per celebrare una nuova grandeur. I simboli della regalità, della maestà. Oppure i simboli del rinnovamento. Ma i simboli hanno un valore se accompagnano misure politiche, provvedimenti concreti, non se sostituiscono la decisione (impossibile) con la rappresentazione. E invece è proprio come se nel villaggio mediatico ci fosse fame insaziabile di simboli come vetrina della nuova politica.

In contrapposizione ai fasti delle «cene eleganti» berlusconiane, Mario Monti volle mandare un segnale presentandosi con un sobrio loden alla stazione per prendere il treno che da Milano lo avrebbe portato a Palazzo Chigi (e anche Enrico Letta si è presentato alla convocazione del Quirinale con la sua automobile privata: doveva mandare un segnale di normalità). Per mostrarsi un benevolo padrone del mondo, severo ma capace di gesti caritatevoli, Putin ha mandato un segnale di moderazione liberando l’oligarca dissidente Khodorkovskij proprio alla vigilia dei Giochi olimpici (e anche pochi giorni prima, ma questo non lo poteva sapere, della recrudescenza terroristica a Volgograd). Per mandare un segnale, i maggiorenti del Partito comunista cinese hanno formalmente aperto al libero mercato, quando tutti sanno già che in Cina il capital-comunismo non è esattamente l’applicazione di un programma economico marxista-leninista puro. Per dimostrare sensibilità al «diverso» il sindaco democratico di New York Bill de Blasio si è presentato con la sua multicolore e multiforme famiglia come simbolo di multiculturalità. E poi, grazie a una colossale nevicata che ha coperto la grande metropoli, si è offerto ai fotografi di tutto il mondo spazzando con una pala i cumuli bianchi e gelidi. Fanno oramai così i sindaci sotto la neve, anche Gianni Alemanno si fece immortalare con una pala per mandare un segnale di fattività: anche se la città era completamente paralizzata, il simbolo rischiava di funzionare come compensazione dei disagi patiti dalla cittadinanza.

In Italia la «casta» politica per mandare un segnale gira a piedi, compra il biglietto delle partite, fa la fila al cinema, si slaccia il colletto della camicia rigorosamente senza cravatta per mostrarsi alla mano e alla portata dei cittadini normali. Peccato che la stessa casta non riesca a rinunciare concretamente nemmeno a una manciata di quattrini del finanziamento pubblico. Fanno una legge sull’omofobia che concretamente non raggiunge nessun risultato (fortunatamente in Italia l’aggressione e il pestaggio sono già reati perseguibili per legge), ma manda il segnale che gli omosessuali potrebbero finalmente sentirsi protetti. Purtroppo, grazie ai veti contrapposti e a un eccesso di subalternità della politica ai (presunti) desiderata del Vaticano, le coppie gay non possono contrarre matrimonio e almeno godere dei diritti che spetterebbero loro attraverso una ragionevole disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. In compenso, per mandare il solito segnale, si escogitano cervellotiche formule burocratiche su un asessuato genitore, pur di non nominare il padre e la madre. Per la stessa ragione, in mancanza di diritti concreti e di un riconoscimento legale che oramai è acquisizione irreversibile di tutte le nazioni liberaldemocratiche, si scatena la guerra santa del boicottaggio contro Guido Barilla, reo di aver rilasciato dichiarazioni non proprio brillanti circa il tipo di marketing sulla famiglia tradizionale attuata dalla sua stranota azienda di pasta e biscotti.

Nel Mezzogiorno, si spreca la retorica sulle risorse del meraviglioso Meridione e per mandare un segnale si creano a getto continuo fantasmagorici «partiti del Sud». In compenso, nella realtà e non nell’atmosfera colorata e gratificante dei simboli, nel Mezzogiorno i treni non funzionano, le strade crollano, le autostrade non si finiscono mai. I sindaci si adeguano. La Napoli di Bassolino non è stata un gioiello di favolosa amministrazione (anche se una sentenza ha scagionato l’ex sindaco da tutte le accuse con cui la magistratura lo aveva bersagliato), ma tutti ricordano la grande bolla (e la grande balla) del «Rinascimento napoletano» perché Bassolino aveva ripulito piazza del Plebiscito, facendone un vanto per tutta l’Italia: sul piano simbolico, almeno.

Il governatore della Sicilia Crocetta ha portato, per mandare un segnale di discontinuità, una ventata di novità e di informalità: nella realtà tutti i portaborse dei politici sono stati assunti stabilmente dalla pubblica amministrazione, altro che discontinuità. Il sindaco di Genova Doria si è presentato come «uno di noi»: simbolicamente il segnale è arrivato forte e chiaro, in compenso nella realtà il trasporto locale si è bloccato e le corporazioni (vincenti) hanno messo in ginocchio la città. Per mandare un segnale il neoleader della Lega Salvini si presenta in tuta, per dare un’immagine di disponibilità informale e di predisposizione alla battaglia. Ma nella realtà, oltre al segnale da spedire all’opinione pubblica, cosa c’è di rilevante e di importante che la Lega può fare? Per mandare un segnale, la Lega aveva già imposto la devolution, con gli splendidi risultati che conosciamo.

Per dare un segnale di ritrovato patriottismo e di coesione nazionale attorno alla bandiera e ai suoi simboli, abbiamo reintrodotto in Italia l’esibizione militare ai Fori Imperiali per il 2 giugno: ma ogni anno c’è una contestazione. Per dare un segnale di compunta e inflessibile severità, si sono predisposte sanzioni draconiane contro le curve che durante le partite si abbandonano a biechi cori razzisti o, come si dice con espressione della neolingua burocratica, a manifestazioni di «discriminazione territoriale». Questo nella sfera simbolica, perché nella sfera pratica l’impossibilità di dar seguito a quelle sanzioni ha vieppiù rafforzato l’inclinazione barbarica delle tifoserie scatenate al dileggio razziale o al linciaggio «territoriale».

La dittatura del simbolico si impone nelle piccole realtà e sulla grande scena mondiale. In Siria Assad continua a massacrare il popolo siriano, ma l’Onu manda un segnale contro l’uso di armi chimiche. Un richiamo puramente simbolico che non risolve niente nella realtà, ma appaga il desiderio di un gesto, bello o brutto che sia, purché sia un gesto dal forte impatto sul piano della comunicazione. Oppure si prendono i funerali di Mandela in Sudafrica per dare l’occasione ai leader del mondo di scambiarsi gesti, strette di mano, o persino giochi un po’ infantili con i telefoni cellulari. Solo un segnale, come omaggio non a un vero grande simbolo come Mandela, ma ai tanti simboli che hanno sostituito la realtà sul palcoscenico mediatico.

Pierluigi Battista - La Lettura - Corriere della Sera - 12 gennaio 

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