venerdì 10 luglio 2009

Lavoro a tutti e finanza etica - Superare gli squilibri della globalizzazione - Il mercato non basta da solo

Carlo Marroni

È la grammatica economico sociale della Chiesa per il Terzo Millennio. Scritta durante la crisi l'enciclica "Caritas in Veritate", la terza di Benedetto XVI, lancia una sfida al mondo ricco: andare oltre il capitalismo. Ma sopratutto Joseph Ratzinger, il Papa della "speranza e del realismo", come titola l'Osservatore Romano, lancia un messaggio che sovrasta ogni altro: lavoro per tutti, combattendo quel precariato che ostacola i normali percorsi di vita, no alla delocalizzazione che può far del bene al Paese che la ospita ma che porta spesso allo sfruttamento, no all'abbassamento delle tutele di fronte ad un sindacato indebolito. L'enciclica - 142 pagine divise in 78 capitoli- dopo un lavoro durato oltre due anni ieri è stata presentata alla stampa (dai cardinali Martino e Cordes, da monsignor Crepaldi e dall'economista Zamagni),alla vigilia dell'apertura del G-8, al quale è affidato il messaggio di dare ai processi economici un vero contenuto etico. Il Papa conferma ancora una volta contenuti concreti, che scendono nel dettaglio dei processi e mettono a nudo i limiti di un sistema. Senza Dio, afferma Ratzinger, lo sviluppo viene disumanizzato (e qui l'allarme per la diffusione nel mondo di aborto, eutanasia ed eugenetica), e rende il sistema ostaggio della ricerca del profitto, senza un fine ultimo di bene comune. Da qui la sfrenata attività finanziaria «per lo più speculativa» e concentrata solo sul brevissimo termine, flussi migratori «spesso solo provocati » e poi malgestiti, lo sfruttamento della terra e delle sue risorse.In questo ambiente cresce la ricchezza ma aumentano le povertà, dilaga la corruzione, le multinazionali sfruttano il lavoro. Lo sviluppo economico deve avere nuovi codici: il Papa mette sul piatto l'elogio della fraternità e dell'esperienza del dono, spesso non riconosciuta «a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell'esistenza». Eppoi il fondamentale capitolo sul lavoro, in un contesto dove la disoccupazione si presenta come una delle vere piaghe bibliche: «Che cosa significa la parola decenza applicata al lavoro?» chiede papa Benedetto. «Significa un lavoro che, in ogni società, sia l'espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna: un lavoro scelto liberamente, che associ efficacemente i lavoratori, uomini e donne, allo sviluppo della loro comunità, un lavoro che, in questo modo, permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione, un lavoro che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli, senza che questi siano costretti essi stessi a lavorare. Un lavoro che permetta ai lavoratori di organizzarsi liberamente e di far sentire la loro voce, un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale, un lavoro che assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa». Nel documento, il Pontefice scrive che «i poveri in molti casi sono il risultato della violazione della dignità del lavoro umano, sia perché ne vengono limitate le possibilità ( disoccupazione, sotto-occupazione), sia perché vengono svalutati» i diritti che da esso scaturiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia». La mobilità lavorativa, associata alla deregolamentazione generalizzata, è stata - sottolinea - un fenomeno importante, non privo di aspetti positivi perché capace di stimolare la produzione di nuova ricchezza e lo scambio tra culture diverse. Tuttavia, per il Papa, quando l'incertezza circale condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione, diviene endemica, si creano forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell'esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio. «Conseguenza di ciò- sottolinea - è il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale», mentre «l'estromissione dal lavoro per lungo tempo, oppure la dipendenza prolungata dall'assistenza pubblica o privata, minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale». Poi un richiamo all'urgente esigenza che le organizzazioni sindacali dei lavoratori (ma parla anche di consuma-tori), da sempre incoraggiate e sostenute dalla Chiesa, si aprano alle nuove prospettive che emergono nell'ambito lavorativo. Eppoi la finanza: «Bisogna che la finanza in quanto tale, nelle necessariamente rinnovate strutture e modalità di funzionamento dopo il suo cattivo utilizzo che ha danneggiato l'economia reale, ritorni ad essere uno strumento finalizzato alla miglior produzione di ricchezza ed allo sviluppo. Tutta l'economia e tutta la finanza, non solo alcuni loro segmenti, devono, in quanto strumenti, essere utilizzati in modo etico così da creare le condizioni adeguate per lo sviluppo dell'uomo e dei popoli».Gli operatori della finanza devono riscoprire il fondamento propriamente etico della loro attività «per non abusare di quegli strumenti sofisticati (chiaro il riferimento a derivati e simili, ndr) che possono servire per tradire i risparmiatori». In questo senso, tanto una regolamentazione del settore tale da garantire i soggetti più deboli e impedire scandalose speculazioni, quanto la sperimentazione di nuove forme di finanza destinate a favorire progetti di sviluppo, sono esperienze positive che vanno approfondite ed incoraggiate, richiamando la stessa responsabilità del risparmiatore.
© Copyright Il Sole 24 Ore, 8 luglio 2009 consultabile online anche qui.

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