lunedì 1 luglio 2013

CONFORMISMO DEI SENZA CRAVATTA UN’ALTRA FORMA DI DEMAGOGIA

Scandalo tra i benpensanti, perché al recente G8 i potenti della terra uomini si sono presentati tutti senza cravatta! Per me invece il fatto è positivo. Finalmente i Grandi, senza nulla perdere del loro ruolo, si avvicinano alla gente comune e distruggono l’assurda tutela sociale di cui gode la cravatta, riconoscendola per quell’accessorio inutile e fastidioso che è, e di cui non appena possibile è una gioia privarsi. E se là faceva caldo, lo faceva per tutti! Come giudica lei la novità?

Antonio Massioni, Milano

CONFORMISMO DEI SENZA CRAVATTA UN’ALTRA FORMA DI DEMAGOGIACaro Massioni, negli scorsi giorni, quando è salito su un grande palco di fronte alla porta di Brandeburgo per parlare ai berlinesi che affollavano il Viale dei tigli, Barack Obama era già senza cravatta. Ma di lì a pochi secondi, prima d’iniziare il suo discorso, disse: «Fa così caldo e io sto così bene che ho deciso di togliermi la giacca; e chiunque, se lo desidera, può fare altrettanto». Christopher Caldwell, intellettuale della destra neoconservatrice americana, ha scritto sul Financial Times che una tale battuta, negli Stati Uniti, sarebbe indice di spigliatezza, ma al di fuori dell’America, ha aggiunto, è piuttosto grossolana. So che i tempi cambiano, ma mi sembra che non abbia torto. Credo che un uomo politico, soprattutto quando ha funzioni pubbliche, debba dare prova di decoro e serietà anche negli abiti che indossa. Ha un incarico importante e deve trasmetterlo intatto ai suoi successori. Agli albori della radio, gli annunciatori della Bbc leggevano il notiziario indossando uno smoking. Nessuno li vedeva e avrebbero potuto farlo, teoricamente, in costume da bagno, ma l’azienda riteneva che la lettura delle notizie fosse un servizio pubblico e che un abito dimesso o stravagante sarebbe stato una mancanza di rispetto per gli ascoltatori. Aggiungo che il problema è anche estetico. Se l’uomo politico indossa un «completo» (giacca e calzoni dello stesso colore) la mancanza della cravatta è un pugno nell’occhio. L’abitudine non mi piace anche perché mi sembra demagogica e populista. Non è vero che l’uomo pubblico, quando si toglie la cravatta, dimostri di essere spigliato, amico del popolo, alla buona. Negli incontri al vertice i partecipanti ricevono cartoni d’invito in cui la mancanza della cravatta, per certe occasioni, non è meno obbligatoria di quanto siano, per altre cerimonie, lo smoking, il frac e il tight. L’importante è che nessuno sgarri, che tutti giochino la partita dell’immagine con le stesse regole. Un’ultima osservazione, caro Massioni. Le cravatte italiane (chiedo scusa per il nazionalismo) sono le più belle del mondo. La stoffa, i disegni, la combinazione dei colori e la confezione le rendono, almeno per il momento, ineguagliabili. Dovremmo distruggere noi stessi questo primato della moda italiana? Come tutti i suoi colleghi, Enrico Letta, all’ultimo G8, è stato costretto dal conformismo imperante a togliersi la cravatta. Spero che alla fine dell’incontro abbia regalato a ciascuno dei suoi colleghi una cravatta italiana.

Sergio Romano - Corriere della Sera


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