domenica 28 luglio 2013

L’America riparte da Internet Le città hi-tech creano più lavoro

Istruzione e innovazione fanno la differenza. L’indotto di Facebook e Google supera quello dell’industria
ENRICO MORETTI Prof alla University of California di Berkeley - La Stampa  

 

L’economia americana sta ripartendo. A differenza di quella italiana, negli Stati Uniti occupazione e salari medi sono in crescita da più di un anno. Il quadro economico, però, è profondamente diverso in aree differenti degli Stati Uniti. Mentre alcune regioni del Paese sono ancora in piena recessione, altre sono in piena espansione.  

Molte delle città della vecchia Rust Belt industriale hanno ancora tassi di disoccupazione alti. L’economia di Detroit, per esempio, continua a contrarsi e da questa settimana è ufficialmente in bancarotta, schiacciata da miliardi di dollari di debiti pubblici non pagati. Il mercato del lavoro in città ad alto tasso di innovazione, invece, è in piena espansione.  

 

Il modello San Francisco  

L’esempio principale è San Francisco, la città dove vivo, che in questo momento è l’economia più dinamica in America. I posti di lavoro nel settore del software, Internet, semiconduttori, ricerca medica e farmacologica (in particolare biotecnologica), sono in crescita costante da anni e hanno nettamente ripreso forza dopo una breve pausa dovuta alla recessione. A questi settori tradizionali dell’hi-tech si sono aggiunti settori nuovi come il clean-tech, digital entertainement e i nuovi materiali (per esempio il nano-tech). 

L’occupazione sta crescendo così rapidamente che le imprese cominciano ad avere difficoltà a trovare lavoratori. Facebook e Apple stanno assumendo a ritmi senza precedenti. Google, che aveva già tra i salari più alti del settore, li ha dovuti alzare ulteriormente per evitare che i suoi dipendenti cercassero altri posti di lavoro meglio remunerati. Twitter ha raddoppiato la forza lavoro in meno di un anno. Nell’aria si percepisce un ottimismo tangibile e un senso di opportunità senza confini. I ristoranti, i caffè e i pub sono pieni. Le strade e le piazze sono affollate da giovani trasferitisi da poco dal resto degli Stati Uniti, che vengono a cercare lavoro o a creare lavoro. Centinaia di nuove start-up impegnate a disegnare le tecnologie del futuro vengono create ogni mese. 

 

L’indotto dell’hi-tech  

A beneficiare di questa crescita non sono solo scienziati ed ingegneri. L’aspetto più importante di questa crescita è il suo effetto indiretto su chi non è impiegato nel settore. Questo aspetto è fondamentale, perché il lavoratore medio non sarà mai un impiegato di Apple, Google o di una startup della biotecnologia. Le industrie dell’innovazione portano a San Francisco buoni posti di lavoro, non solo direttamente nel settore dell’innovazione, ma anche indirettamente in altri settori, specialmente nei servizi locali e così incidono sull’economia locale, molto più in profondità di quanto risulti dal loro effetto immediato. Attrarre in una città uno scienziato o un ingegnere informatico significa innescare un effetto moltiplicatore che va ad aumentare i posti di lavoro e i salari di chi fornisce servizi locali.  

La mia ricerca dimostra che per ogni nuovo posto di lavoro ad alto contenuto tecnologico creatosi in una città vengono a prodursi cinque nuovi posti, frutto indiretto del settore hi-tech di quella città. Si tratta sia di occupazioni qualificate (avvocati, insegnanti, infermieri) sia di occupazioni non qualificate (camerieri, parrucchieri, meccanici, muratori). Per esempio, per ogni nuovo software designer reclutato da Twitter o da Google, a San Francisco si creano cinque nuove opportunità di lavoro per baristi, personal trainer, medici e tassisti. Nella prospettiva di una città, insomma, un posto di lavoro ad alto contenuto tecnologico è molto più che un singolo posto di lavoro.  

 

Le tre Americhe  

Questi trend non sono passeggeri ma riflettono un cambiamento strutturale nel mercato del lavoro americano e mondiale in atto da 40 anni. Siamo abituati a pensare all’America come un Paese unico. In realtà oggi esistono tre Americhe, molto distinte l’una dall’altra. A un estremo troviamo gli hub mondiali dell’innovazione: San Francisco, appunto, ma anche San Jose, Seattle, Austin, Boston, Raleigh e Washington. Sono città con una solida base di capitale umano e un’economia fondata su creatività e ricerca – città che da decenni continuano ad attrarre un numero sempre crescente di imprese di successo e di posti di lavoro con salari elevati. Queste città hanno una delle forze lavoro più istruite, creative e produttive del mondo.  

All’estremo opposto si collocano le città dove un tempo dominava l’industria tradizionale, ridotte a centri in rapido declino che continuano a perdere posti di lavoro e abitanti: Cleveland, Flint, Buffalo, Philadelphia e ovviamente Detroit. L’economia qui è caratterizzata da attività produttive tradizionali, livelli di capitale umano molto più bassi, e ovviamente retribuzioni modeste. Chi lavora nelle città nel primo gruppo guadagna il doppio o il triplo di chi svolge lo stesso lavoro nelle città nel secondo gruppo, a parità di qualifiche professionali. Il resto d’America si trova in mezzo a questi due estremi, e potrebbe evolversi in una direzione o involvere nell’altra.  

 

Manifattura e innovazione  

Le città con economie più forti si vanno rafforzando, mentre le città con economie più fragili vanno indebolendosi. Questa «grande divergenza» è in atto in tutto il mondo occidentale, ed è uno degli sviluppi più importanti nella storia economica e sociale dal dopoguerra a oggi. Il divario crescente tra città nel livello di sviluppo economico non è un fenomeno accidentale, ma l’ineluttabile risultato di forze economiche con radici profonde. Le sue cause ultime risiedono in un cambiamento profondo e strutturale nei modi di produzione che sta investendo, seppure a velocità diverse, tutte le società post-industriali.  

Negli Anni 50 e 60, il successo economico di una città o di una regione dipendeva dalla manifattura. Città come Detroit e Cleveland erano tra le più ricche al mondo perché avevano i settori industriali più dinamici, e questo si traduceva in occupazione fiorente e salari tra i più alti sulla faccia della terra. Lo stesso, anche se su scala minore, accadeva a Torino, Milano e Genova.  

Negli ultimi cinquant’anni, tutto questo è cambiato. Gli Stati Uniti sono passati da un’economia fondata sulla produzione di beni materiali a un’economia basata su innovazione e conoscenza. L’occupazione nel settore manifatturiero si è dimezzata e continua a calare anno dopo anno. L’occupazione nel settore dell’innovazione è cresciuta a ritmi travolgenti. L’ingrediente chiave di questo settore è il capitale umano, e dunque istruzione, creatività e inventiva. Il fattore produttivo essenziale non sono più i macchinari ed infrastrutture fisiche, ma le persone: sono loro a sfornare nuove idee.  

 

Il valore dell’istruzione  

La mia ricerca mostra che a partire dagli Anni Settanta il destino economico delle città americane comincia a dipendere in misura sempre maggiore dal livello di istruzione dei loro abitanti. Le città con un più alto numero di lavoratori provvisti di formazione universitaria hanno cominciato ad attirarne sempre di più, mentre le città con una forza lavoro meno istruita hanno iniziato a perdere terreno.  

È un trend in accelerazione: l’effetto è che la distribuzione geografica dei lavoratori americani va sempre più configurandosi in base al profilo professionale. Proprio mentre stanno assistendo alla scomparsa delle segregazione razziale, le comunità americane vedono crescere la segregazione socioeconomica. Questa tendenza si osserva anche in Gran Bretagna, sebbene in misura minore, e nell’Europa continentale, Italia inclusa. La scolarità è divenuta la nuova discriminante sociale, sia a livello individuale che di comunità. 

L’economia post-industriale, basata sul sapere e sull’innovazione, ha una tendenza intrinseca molto forte verso l’agglomerazione geografica. Città e regioni in grado di attirare lavoratori qualificati e imprese innovative, tendono ad attirarne sempre più; le comunità che non riescono ad attrarre lavoratori qualificati e imprese innovative, invece, perdono sempre più terreno. In questa realtà, il successo propizia ulteriore successo, mentre l’insuccesso condanna ad altri insuccessi. 

 

L’ecosistema produttivo  

La ragione è un cambiamento profondo nel modo in cui si produce oggi. Nella nuova economia dell’innovazione il successo di un’azienda o di una città non dipende soltanto dalla qualità dei suoi lavoratori, ma anche dall’ecosistema produttivo in cui è inserita. Un insieme sempre più nutrito di studi economici sta rivelando che le città non sono una mera concentrazione di individui, ma un ambiente complesso e ricco di interrelazioni che favorisce la creazione di nuove idee e nuovi modi di fare impresa. L’interazione sociale tra gli imprenditori, per esempio, tende a generare opportunità di apprendimento che vanno a beneficio dell’innovazione e della produttività. Stare tra persone intelligenti ci rende più intelligenti, più innovativi e più creativi. Operando in contiguità geografica, gli innovatori rafforzano reciprocamente il proprio potenziale creativo e accrescono le proprie possibilità di successo. Questo è un aspetto importante, perché fa sì che mentre l’industria tradizionale continua a delocalizzarsi in Paesi in via di sviluppo, l’industria dell’innovazione continua a concentrarsi in poche aree chiave del mondo. Per esempio, uno stabilimento tessile è un’entità autonoma che può essere collocata più o meno in qualsiasi parte del mondo dove ci sia abbondanza di manodopera. È facile per un produttore americano o europeo delocalizzare in Bangladesh o in Romania. Ma un laboratorio biotecnologico o elettronico è piuttosto difficile da trasferire altrove, perché non si tratta di spostare solo un’azienda, ma un intero ecosistema.  

 

La grande divergenza  

Per rimanere creativo e innovativo, deve stare vicino ad altre imprese high tech. Quindi una città che già possiede lavoratori creativi e aziende innovative vedrà evolvere la propria economia in direzioni che la renderanno ancora più attraente per gli innovatori. È questo, in definitiva, ciò che determina la «grande divergenza», per cui alcune città vedono aumentare la concentrazione di buoni impieghi, talento e investimenti, mentre altre vanno in caduta libera. 

Queste dinamiche, già molto chiare in America e ancora in nuce in gran parte d’Europa, hanno importanti implicazioni per il futuro di molti Paesi europei. In questo quadro, l’Italia non è messa molto bene. Con una struttura industriale vecchia e poco innovativa, l’Italia è più vicina a Detroit che a San Francisco. Nei prossimi articoli esploreremo in dettaglio che cosa causa queste dinamiche e che cosa implicano per il futuro dell’Italia.  

 

 


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