sabato 27 luglio 2013

Crowdfunding, le “collette” per il rilancio

Da oggi arriva in Italia il regolamento Consob sul finanziamento delle start-up col «crowdfunding». È il primo regolamento del genere in Europa. I cittadini potranno finanziare le nuove imprese innovative che abbiamo determinati requisiti. «Crowdfunding» e «crowdsourcing» sono due tra le parole più di moda del momento. Indicano, rispettivamente, finanziamenti (funding) o contributi di altra natura (outsourcing) provenienti da semplici individui (crowd, ovvero, la folla).  

 

Ma se entrambe le parole hanno solo pochi anni di vita (sono state coniate nel 2006), i due concetti sono antichi di secoli. I più disincantati infatti potrebbero dire che invece di «crowdfunding» si potrebbe semplicemente dire colletta e citare le raccolte di fondi che hanno permesso di realizzare, per esempio, sia molti monumenti (da quelli dedicati a eroi del Risorgimento alla Statua della Libertà) sia numerosi libri (come l’edizione dei lavori di Martin Lutero pubblicata da Johann Heinrich Zedler nel ’700). E potrebbero ridimensionare anche la novità del «crowdsourcing» ricordando, per esempio, i 6 milioni di contributi inviati da persone di tutto il mondo per arricchire l’Oxford English Dictionary a partire dalla metà dell’800. 

 

Tutto vero. Eppure rispetto al passato qualcosa di nuovo c’è davvero e quel qualcosa è, come spesso capita in questi anni, una conseguenza della rivoluzione digitale. Grazie a Internet, infatti, raccogliere sia fondi sia contributi di altra natura (purché rappresentabili sotto forma di bit) è diventato immensamente più facile rispetti ai tempi di Johann Zedler o dell’Oxford English Dictionary. 

 

E’, infatti, diventato più facile comunicare, raccogliere i contributi e restare in contatto con i contributori. E’ diventato più facile comunicare che cosa si chiede e perché lo si chiede: basta un sito web, magari arricchito da video accattivanti. E’ diventato più facile ricevere i contributi: per i soldi basta saper accettare carte di credito o bonifici, mentre per i contributi basta la posta elettronica, un «wiki» o una cartella condivisa. E’ diventato più facile rimanere in contatto con la comunità dei contributori: basta un sito web o anche solo Facebook. 

 

Processi vecchi di secoli vengono dunque fortemente democratizzati, permettendo a chiunque in grado di usare con un minimo di abilità la Rete di chiedere a una platea potenzialmente mondiale aiuto per la realizzazione di un proprio progetto. Per fare cosa? I campi di applicazioni del crowdfunding sono moltissimi. 

Nel 2008 Obama nel corso della sua prima campagna elettorale sfrutta con sapienza il Web per raccogliere milioni di piccoli contributi; un chiaro segnale, fortemente politico, di affrancamento dai poteri forti e dai loro assegni. L’anno dopo viene fondata Kickstarter.com, che diventa in breve tempo la più famosa piattaforma di «crowdfunding». Grazie a Kickstarter vengono incisi album, girati film, scritti libri, realizzati prototipi innovativi e molto altro ancora. Parliamo di oltre centomila progetti, di cui quasi la metà realizzati, per contributi che ammontano complessivamente a 717 milioni di dollari (quasi 540 milioni di euro). 

 

L’evoluzione continua e oggi le piattaforme di crowdfunding si stima che siano quasi cinquecento, tra cui alcune italiane, per un giro di contributi di circa tre miliardi di euro nel 2012, e di circa il doppio, secondo alcune stime, per il 2013. Si è, quindi, stabilmente affermato un nuovo, importante canale per il finanziamento di iniziative di vario tipo, che si affianca ai canali tradizionali, come il finanziamento pubblico e gli sponsor. E’, però, bene aver presente che il crowdfunding richiede non solo una generica competenza nell’uso degli strumenti digitali, ma anche e soprattutto la capacità di catturare l’attenzione dei navigatori e di convincerli a contribuire. 

 

Obiettivo non facile in generale, ma che col crescere del numero dei progetti, e quindi della competizione, diventerà per forza di cose sempre più difficile da raggiungere. Tanto più se l’economia non riprenderà a girare, rimettendo qualche soldo in tasca a tutti noi, folla di potenziali finanziatori di poeti e ricercatori. 


JUAN CARLOS DE MARTIN


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