martedì 18 febbraio 2014

Cosa si dovrebbe sapere sul Personal Branding, di Sebastiano Zanolli

Riprendo e pubblico questo post di Sebastiano Zanolli, grande amico e fantastico ispiratore.

Il tema del trattare se stessi e il proprio nome come un marchio ed applicare le categorie del marketing alla propria vita è una attività che negli ultimi anni ha trovato grande diffusione e pratica.
Non è strano.
Quando i mercati sono alle strette e non hanno confini, se non quelli che metti tu, la competitività diventa parossistica.
Qualunque cosa è un’alternativa ai miei prodotti e servizi che sono in concorrenza con merce e prestazioni che fino a ieri avrei classificato come innocue e ininfluenti per la mia performance.
Come l’influenza aviaria si sposta dagli animali all’uomo, questa competitività si trasferisce dalle cose alle persone.
Siamo noi i prossimi a essere passibili di sostituibilità.
Noi che credevamo di essere gli unici giudici, ora ci ritroviamo a essere giudicati.
Poco male per i venditori coscienti.
Molto male per i venditori incoscienti, nel senso di chi non ha cognizione di sé e del significato dei propri atti.
La gara è così spietata che l’asset, il patrimonio, la caratteristica più idonea da sfruttare, la meno imitabile e la più monetizzabile è il proprio profilo personale.
Ecco allora la trasposizione di alcune mosse di marketing aziendale in campo personale.
Competenza. Sapere risolvere problemi reali.
• Visibilità. Che la gente sia in grado di sapere che gli puoi risolvere questi problemi.
• Network. Una rete che trasmetta la tua capacità e generi opportunità, connettendo domanda e offerta e magari stimoli nuovi livelli d’intervento.
• Essere punti di riferimento per un’audience definita e affogare tutto il movimento che fai nella vita reale e in quella digitale, con la glassa dei tuoi talenti e dei tuoi tratti caratteriali più interessanti e marcati.
• Occultare punti di debolezza e porre l’accento sui punti di forza.
• Sapere raccontare in modo avvincente, credibile e motivante la tua storia individuale.
Tutto questo, e altro, è curare il proprio marchio personale.
Funziona. Ne sono certo per averlo visto produrre i risultati economici e di immagine che promette.
Tra le tante invenzioni e panacee che il mercato consulenziale è costretto a mettere insieme con i più disparati acronimi e termini perlopiù inglesi, questo funziona davvero e ci tengo a sottolinearlo.
Ma la piccola riflessione che vorrei tentare di fare con queste righe è una altra.
Corre veloce verso l’alto.
Richiede un salto di grande portata.
Un salto di coscienza.
Vediamo se riesco a spiegarmi.
Il mercato è un gioco, crudele e spietato, ma pur sempre un gioco.
Frutto di regole, a volte comprensibili, a volte meno.
In questo gioco noi siamo immersi totalmente e, per potere giocare adeguatamente, accettiamo che il gioco non sia un gioco, ma che sia la realtà data.
Non c’è nulla di male in sé, ma confondere un’attività umana, creata per produrre risultati materiali ed economici, con il senso dell’esistenza ha in sé i semi di un possibile disagio.
Un po’ come se Robert De Niro fosse ancora convinto di essere Travis Bickle, il ventiseienne alienato, depresso, tassista notturno di taxi Driver.
Noi, come donne e uomini, esistiamo al di là del mercato e dei mercati.
Esistevamo prima ed esisteremo poi, come genere, come specie.
Questi mercati sono una soluzione temporanea a un problema eterno per l'umanità.
Come sopravvivere materialmente in un ambiente più o meno difficile.
La soluzione attuale, il capitalismo e il libero sono estremamente produttivi per il benessere materiale e l’evoluzione e diffusione del benessere fisico della specie.
Permette potenzialemente anche a chi abita in Alaska o nel Sahara di vivere con dignità.
Come fa’ un termosifone o un condizionatore, alterano le condizioni date.
Ma come sempre accade per qualcosa di artificiale, serve adattare chi deve giocare in modo che giochi bene, mano a mano che la specializzazione cresce.
Come i cani da combattimento o i tori da corrida.
I canarini da competizione, i gladiatori o i cavalli da corsa.
Non vanno bene tutti.
I mercati, oltre ad essere conversazioni, sono invenzioni umane.
Il profilo dei giocatori anche.
Qui è il nodo.
Noi siamo qualcosa in più.
Siamo un passo più in là della nostra idea di noi stessi.
Siamo un grumo di pensiero ed emozioni capaci di ragionamenti ma soprattutto di sensazioni e sentimenti.
Siamo individui nati con una coscienza che permette di osservare il nostro pensiero.
E il pensiero è la radice del mondo che abbiamo creato.
Siamo potenzialmente dei creatori di realtà.
Ma a volte, spesso a dire la verità, dimentichiamo e confondiamo causa ed effetto.
Rovesciandoli.
Una via verso l’insoddisfazione, che ricordiamolo è il meccanismo chiave del gioco di mercato, è dimenticare che possiamo essere ciò che desideriamo.
A prescindere da ciò che noi o altri crediamo di essere.
Capisco che sia un po’ complicato.
Mi rispiego.
Tutto parte dal pensiero, l’idea di noi, dei giochi che vogliamo mettere in piedi, delle regole, dei meccanismi.
A volte, dimentichiamo che i creatori di questa realtà siamo noi.
La costruiamo a partire dai nostri ricordi, sensazioni, giudizi, conoscenze.
Ma è pur sempre solo una tra le innumerevoli possibilità.
Se domani decidessimo di essere felici con altre regole potremmo farlo.
Purtroppo ci scordiamo spesso di questo particolare e crediamo che il gioco, la realtà , le circostanze siano più reali di noi.
Siamo enormemente più grandi e potenti del gioco che abbiamo messo in piedi.
Come De Niro è enormememente più potenziale di Travis Bickle che è solo una delle facce che può assumere o non assumere.
Il Personal Branding è uno strumento per giocare meglio al gioco.
Non per sostituirsi alla nostra esistenza più alta.
Infondere la propria personalità nella competizione economica funziona in termini di risultato. 
Punto.
Non soddisfa la voglia di crescita personale, di essere persone che volano più alte per comprendere quale sia il destino che ci attende meno dopo questo passaggio sul pianeta.
Da risposta alla domanda “ chi devo essere io per funzionare bene nel gioco?”.
Non dà risposte alla domanda “Chi sono io in realtà, al di la del mercato?”.
Visto che spesso mi ritrovo in aula a parlare di Personal Branding, devo marcare questo importante fatto.
Qualcuno fa confusione e si espone a un pericolo grande.
Di essere qualcosa che è solo una tra le mille possibilità e rimanerci incastrato per tutta la vita, in un impeto di costretta coerenza.
Drammatico.
Per cercare la felicità si devono affrontare le domande alte e poi, strumentalmente e sapendo che tutto è una commedia che sembra quasi reale, affrontare le domande più materiali.
Le prime riguardano lo spirito, l’anima, o qualunque nome si voglia dare a quel qualcosa che è prima di noi e delle nostre invenzioni.
Le seconde sono le domande che ci servono a vivere, portare a casa il pane, a mantenere i figli a scuola o ad andare in vacanza.
E’ importante non confondere i livelli e cercare di fare il meglio su ambedue.
Non siamo solo quello che vogliamo dimostrare sul mercato.
Lì si pratica una parte, si ricopre un ruolo.
Recitiamo pure, e bene, godendoci i frutti dell’agonismo di mercato.
Ma non fermiamoci li.
Abbiamo un avvenire più grande se solo alzeremo lo sguardo per vedere le infinite strade che possiamo disegnare senza l’aiuto delle regole.

Da V+:

Cosa si dovrebbe sapere sul Personal Branding.

Il tema del trattare se stessi e il proprio nome come un marchio ed applicare le categorie del marketing alla propria vita è una attività che negli ultimi anni ha trovato grande diffusione e pratica.
Non è strano.
Quando i mercati sono alle strette e non hanno confini, se non quelli che metti tu, la competitività diventa parossistica.
Qualunque cosa è un’alternativa ai miei prodotti e servizi che sono in concorrenza con merce e prestazioni che fino a ieri avrei classificato come innocue e ininfluenti per la mia performance.
Come l’influenza aviaria si sposta dagli animali all’uomo, questa competitività si trasferisce dalle cose alle persone.
Siamo noi i prossimi a essere passibili di sostituibilità.
Noi che credevamo di essere gli unici giudici, ora ci ritroviamo a essere giudicati.
Poco male per i venditori coscienti.
Molto male per i venditori incoscienti, nel senso di chi non ha cognizione di sé e del significato dei propri atti.
La gara è così spietata che l’asset, il patrimonio, la caratteristica più idonea da sfruttare, la meno imitabile e la più monetizzabile è il proprio profilo personale.
Ecco allora la trasposizione di alcune mosse di marketing aziendale in campo personale.
Competenza. Sapere risolvere problemi reali.
• Visibilità. Che la gente sia in grado di sapere che gli puoi risolvere questi problemi.
• Network. Una rete che trasmetta la tua capacità e generi opportunità, connettendo domanda e offerta e magari stimoli nuovi livelli d’intervento.
• Essere punti di riferimento per un’audience definita e affogare tutto il movimento che fai nella vita reale e in quella digitale, con la glassa dei tuoi talenti e dei tuoi tratti caratteriali più interessanti e marcati.
• Occultare punti di debolezza e porre l’accento sui punti di forza.
• Sapere raccontare in modo avvincente, credibile e motivante la tua storia individuale.
Tutto questo, e altro, è curare il proprio marchio personale.
Funziona. Ne sono certo per averlo visto produrre i risultati economici e di immagine che promette.
Tra le tante invenzioni e panacee che il mercato consulenziale è costretto a mettere insieme con i più disparati acronimi e termini perlopiù inglesi, questo funziona davvero e ci tengo a sottolinearlo.
Ma la piccola riflessione che vorrei tentare di fare con queste righe è una altra.
Corre veloce verso l’alto.
Richiede un salto di grande portata.
Un salto di coscienza.
Vediamo se riesco a spiegarmi.
Il mercato è un gioco, crudele e spietato, ma pur sempre un gioco.
Frutto di regole, a volte comprensibili, a volte meno.
In questo gioco noi siamo immersi totalmente e, per potere giocare adeguatamente, accettiamo che il gioco non sia un gioco, ma che sia la realtà data.
Non c’è nulla di male in sé, ma confondere un’attività umana, creata per produrre risultati materiali ed economici, con il senso dell’esistenza ha in sé i semi di un possibile disagio.
Un po’ come se Robert De Niro fosse ancora convinto di essere Travis Bickle, il ventiseienne alienato, depresso, tassista notturno di taxi Driver.
Noi, come donne e uomini, esistiamo al di là del mercato e dei mercati.
Esistevamo prima ed esisteremo poi, come genere, come specie.
Questi mercati sono una soluzione temporanea a un problema eterno per l'umanità.
Come sopravvivere materialmente in un ambiente più o meno difficile.
La soluzione attuale, il capitalismo e il libero sono estremamente produttivi per il benessere materiale e l’evoluzione e diffusione del benessere fisico della specie.
Permette potenzialemente anche a chi abita in Alaska o nel Sahara di vivere con dignità.
Come fa’ un termosifone o un condizionatore, alterano le condizioni date.
Ma come sempre accade per qualcosa di artificiale, serve adattare chi deve giocare in modo che giochi bene, mano a mano che la specializzazione cresce.
Come i cani da combattimento o i tori da corrida.
I canarini da competizione, i gladiatori o i cavalli da corsa.
Non vanno bene tutti.
I mercati, oltre ad essere conversazioni, sono invenzioni umane.
Il profilo dei giocatori anche.
Qui è il nodo.
Noi siamo qualcosa in più.
Siamo un passo più in là della nostra idea di noi stessi.
Siamo un grumo di pensiero ed emozioni capaci di ragionamenti ma soprattutto di sensazioni e sentimenti.
Siamo individui nati con una coscienza che permette di osservare il nostro pensiero.
E il pensiero è la radice del mondo che abbiamo creato.
Siamo potenzialmente dei creatori di realtà.
Ma a volte, spesso a dire la verità, dimentichiamo e confondiamo causa ed effetto.
Rovesciandoli.
Una via verso l’insoddisfazione, che ricordiamolo è il meccanismo chiave del gioco di mercato, è dimenticare che possiamo essere ciò che desideriamo.
A prescindere da ciò che noi o altri crediamo di essere.
Capisco che sia un po’ complicato.
Mi rispiego.
Tutto parte dal pensiero, l’idea di noi, dei giochi che vogliamo mettere in piedi, delle regole, dei meccanismi.
A volte, dimentichiamo che i creatori di questa realtà siamo noi.
La costruiamo a partire dai nostri ricordi, sensazioni, giudizi, conoscenze.
Ma è pur sempre solo una tra le innumerevoli possibilità.
Se domani decidessimo di essere felici con altre regole potremmo farlo.
Purtroppo ci scordiamo spesso di questo particolare e crediamo che il gioco, la realtà , le circostanze siano più reali di noi.
Siamo enormemente più grandi e potenti del gioco che abbiamo messo in piedi.
Come De Niro è enormememente più potenziale di Travis Bickle che è solo una delle facce che può assumere o non assumere.
Il Personal Branding è uno strumento per giocare meglio al gioco.
Non per sostituirsi alla nostra esistenza più alta.
Infondere la propria personalità nella competizione economica funziona in termini di risultato. 
Punto.
Non soddisfa la voglia di crescita personale, di essere persone che volano più alte per comprendere quale sia il destino che ci attende  meno dopo questo passaggio sul pianeta.
Da risposta alla domanda “ chi devo essere io per funzionare bene nel gioco?”.
Non dà risposte alla domanda “Chi sono io in realtà, al di la del mercato?”.
Visto che spesso mi ritrovo in aula a parlare di Personal Branding, devo marcare questo importante fatto.
Qualcuno fa confusione e si espone a un pericolo grande.
Di essere qualcosa che è solo una tra le mille possibilità e rimanerci incastrato per tutta la vita, in un impeto di costretta coerenza.
Drammatico.
Per cercare la felicità si devono affrontare le domande alte e poi, strumentalmente  e sapendo che tutto è una commedia che sembra quasi reale, affrontare le domande più materiali.
Le prime riguardano lo spirito, l’anima, o qualunque nome si voglia dare a quel qualcosa che è prima di noi e delle nostre invenzioni.
Le seconde sono le domande che ci servono a vivere, portare a casa il pane, a mantenere i figli a scuola o ad andare in vacanza.
E’ importante non confondere i livelli e cercare di fare il meglio su ambedue.
Non siamo solo quello che vogliamo dimostrare sul mercato.
Lì si pratica una parte, si ricopre un ruolo.
Recitiamo pure, e bene, godendoci i frutti dell’agonismo di mercato.
Ma non fermiamoci li.
Abbiamo un avvenire più grande se solo alzeremo lo sguardo per vedere le infinite strade che possiamo disegnare senza l’aiuto delle regole.
www.sebastianozanolli.com - www.venderedipiu.it 

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